Europa piccolo pezzo del mondo…

 

la Grecia è vicina….

 

In questi giorni in cui l’attenzione del nostro paese è in qualche modo portata a riflettere (nonostante i soliti diversivi tipo calcio, Sanremo, e isole o grandi fratelli vari) in modo approfondito sulla propria organizzazione sociale-politica-valoriale uno degli argomenti usati in tutti i modi è l’argomento Grecia. Chi lo usa come argomento dirimente per cui pur di evitare di fare la fine della Grecia è giusto fare qualsiasi sacrificio e rinuncia, chi invece partendo dai costi umani che, visti da vicino, spaventano davvero, pone interrogativi di fondo e chiede come si possa giungere a situazioni del genere con contraddizioni palesi ed innegabili quali l’aumento delle spese militari greche a fronte delle cure dimagranti impressionanti di stipendi e pensioni.

Ma raramente si sente dire che quanto oggi l’Europa e gli organismi internazionali di (presunti?) controllo e tutela chiedono ai governi greci presenti e futuri è più o meno la stessa cosa che da decenni viene dagli stessi organismi chiesto ad una moltitudine di paesi in Africa, Asia ed America Latina. Le modalità sono spesso diverse e molto varie ma il succo è lo stesso: tutelare prima l’interesse dei capitali, della finanza, degli investimenti e poi, se magari resta un po’ di trippa per gatti, quelli delle persone, dei popoli e delle comunità. Qualche voce profetica anche nei decenni scorsi si è alzata per denunciare questo, in alcuni documenti della Chiesa e delle Chiese la disanima del problema è ben chiara ed evidente, ma non ha mai ottenuto la presa in considerazione concreta degli organismi internazionali citati e e soprattutto non si è mai convertita in politica reale dei vari paesi.

Nei paesi citati queste imposizioni degli organismi internazionali hanno solo ottenuto che lo stato di arretratezza e povertà fosse protratto nel tempo e che i vari piani di sviluppo messi in campo fallissero quasi tutti, quando per conflitti o calamità varie, le situazioni delle varie popolazioni non sono addirittura drasticamente peggiorate. Ma da povertà a protratta povertà o a maggiore povertà quasi non c’è notizia, se poi l’argomento razzistico che quei popoli non hanno grande iniziativa, hanno strutture sociali che mal si adattano al libero mercato ed all’economia moderna, l’argomento si chiude in modo quasi tombale: poveri sono e poveri debbono rimanere e noi ci possiamo permettere di continuare il gioco dei benefattori… Ma in Grecia la povertà se l’erano lasciata dietro (hanno l’euro come noi, fanno parte dell’Europa ecc…) ed adesso larghi strati di popolazione vi sono ricacciati per esplicita richiesta dei regolatori dell’economia mondiale, ed allora la cosa incomincia ad inquietare, rimane solo l’argomento che i governi Greci avevano truccato i conti, a tracciare una debole linea di demarcazione tra noi e loro. Ma un paese che in un anno ha fatto tre o quattro manovre finanziarie sulla sua correttezza nel tenere i conti qualche dubbio potrebbe averlo, ed allora forse è più realistico pensare che, se le leggi che governano l’economia mondiale restano le stesse, i Greci ci sono dentro da subito, noi abbiamo solo qualche tempo in più… forse, e dobbiamo fare la corsa su Spagna, Portogallo, Irlanda, ma il traguardo si avvicina comunque per tutti.

Proprio guardando alla parte povera del mondo vengono comunque spunti per non essere così pessimisti o comunque per dire che il problema è sì grave, ma anche complesso e con germi di soluzioni all’interno delle contraddizioni stesse che presenta. Una prima considerazione che balza alla mente è che, se si prendono in considerazione le entità politiche sulla scena mondiale, oggi alcuni paesi, fino a qualche decennio fa considerati poveri, hanno scalato le graduatorie economiche mondiali. Parliamo di Cina, India, SudAfrica, Brasile, Messico e Russia. Sono paesi grandi sia come territori che come popolazioni. Hanno al loro interno situazioni di disparità di condizioni di vita drammatiche. Grandezza di territorio garantisce quasi sempre buone riserve di materie prime, un discreto mercato interno su cui innescare processi di sviluppo a cui concorre in modo decisivo la ricchezza e la densità demografica. Girando per le megalopoli che caratterizzano questi paesi i pensieri che vengono ricordano le descrizioni che facevano delle nostre città ottocentesche alcuni scrittori che colla loro denuncia hanno inescato processi di cambiamento  o santi, come i nostri santi sociali piemontesi, che, accanto alla denuncia, hanno messo in moto immediatamente processi di solidarietà e quindi di innovazione sociale verso maggiore equità e bilanciamento tra  diritti e doveri all’interno della società del tempo. Sia che si guardi all’oggi del mondo, sia che si ricordi in modo propositivo il nostro passato, risulta sempre che la vera ricchezza dei mercati sono le persone, gli individui reali che progrediscono soprattutto attraverso oculate e convinte azioni educative. Le materie prime, i capitali sono condizioni importanti ma non hanno mai l’importanza del capitale persona umana reale. In questi paesi, pur tra ingiustizie e sofferenze che ancora gridano al cielo sta costruendosi il mondo del domani. Le domande che ci si pongono sono: quando la Cina supererà gli Stati Uniti? E l’Europa che pure nell’intuizione dei suoi fondatori aveva capito di poter contare sul nuovo scenario del mondo globalizzato, solo se unita e concorde, saprà davvero diventare l’Europa dei popoli con tutta la ricchezza e la complessità che la parola comporta, o si ostinerà a difendere un’Europa solamente monetaria che sta già rischiando di disgregarsi e ridursi?

Sulla scorta di queste domande che sembrano riguardarci più da vicino ci sono domande similari che concernono comunque il nostro futuro ed il futuro di questo mondo ormai definitivamente ed irrevocabilmente globalizzato:

L’Africa, ridotta dal colonialismo ad un insieme di paesi con fortissime tensioni interne perchè con confini artificiali, saprà, magari sotto la guida di un Sudafrica memore delle sue vere origini e fedele agli insegnamenti dei suoi fondatori, ritrovare un’unità anche politica attorno alla sua ricchezza umana tradizionale che sappia finalmente porsi come interlocutore ascoltato ed apprezzato nel consesso internazionale, oppure attraverso elite infedeli nei confronti dei loro paesi, continuerà ad essere terra di conquista di tutti i neocolonialismi presenti e futuri?

E l’America Latina che dal passato coloniale ha ereditato, oltre a tante ferite e problemi,  una semplificazione linguistica invidiabile ed una ormai consistente esperienza politica, legislativa e giuridica saprà adottare processi di vera integrazione economica e sociale oppure si innescheranno, arginata finalmente l’influenza nordamericana, processi di neocolonialismo interno latino-americano? Il gigante brasiliano saprà ricercare al suo interno una reale equità sociale, rispettosa delle minoranze indigene, capace di integrarle in processi economici equi e rispettosi dell’ambiente? E sulla scena continentale la sua superiorità economica saprà essere guida avveduta e rispettosa degli altri paesi per condurre tutti verso la fruizione di un reale benessere che le ricchezze di quelle terre possono garantire a tutti i loro figli? 

Infine il gigante asiatico, con la sua moltiplicità di tradizioni umane, filosofiche e religiose, con l’attuale molteplicità di poli di sviluppo (Cina-Giappone-Corea, India, Paesi Arabi), saprà integrare tutte le classi sociali in uno sviluppo capace di unire innovazione tecnologica e saggezza tradizionale? Tutte domande che riguardano se non il nostro futuro immediato, sicuramente quello dei nostri figli. E che dovrebbero aiutarci a pensare in modo sempre più "mondiale" perchè i nostri problemi sono i problemi di tutti ormai e i problemi di chiunque possono, prima o poi, diventare i nostri problemi.

Gian Mario Ceridono

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