a proposito del Nord-Africa

Stiamo assistendo a una primavera nel mondo arabo

Intervista a padre Samir Khalil Samir

 

di Inma Álvarez

ROMA, giovedì, 24 febbraio 2011 (ZENIT.org).- La scintilla è stata accesa il 4 gennaio da Mohamed Bouazizi, un giovane tunisino di 27 anni, venditore ambulante di frutta e verdura che ha deciso di darsi fuoco pubblicamente in segno di protesta dopo che la polizia gli aveva confiscato la merce, la sua unica fonte di sostentamento. Le proteste, che passeranno alla storia con il nome di “Rivoluzione dei gelsomini”, hanno provocato la fine del regime di Zine El Abidine Ben Ali, costretto ad abbandonare il Paese. Il movimento si è rapidamente esteso all’Egitto, dove un milione di persone ha manifestato per giorni in Piazza Tahrir, al Cairo (la “Rivoluzione dei giovani”), costringendo l’11 febbraio il Presidente Hosni Mubarak a dimettersi. In questi ultimi giorni sono continuate le proteste, con repressioni più o meno violente, in Marocco, Algeria, Yemen, Iran e Libia. In quest’ultimo Paese, il regime di Gheddafi è arrivato a usare le armi per soffocare le manifestazioni. Per padre Samir Khalil Samir, gesuita originario dell’Egitto, docente di Teologia e Islamologia presso il Pontificio Istituto Orientale e uno dei massimi esperti mondiali di dialogo tra cristiani e musulmani, questo movimento rappresenta una “primavera” nel mondo arabo, un altro passo verso la democratizzazione dei Paesi della regione.

Padre Samir ha concesso questa intervista a ZENIT sull’argomento.

Come interpreta le recenti manifestazioni in Egitto che hanno rovesciato il regime di Mubarak, ma anche quelle in Tunisia, Algeria e negli ultimi giorni persino in Iran e Libia per chiedere la fine dei vecchi regimi?

P. Samir Khalil Samir: Questi movimenti sono più o meno nati in modo spontaneo. Ciò che si nota è che c’è una maggioranza di giovani, non ci sono né partiti politici né gruppi organizzati. É una reazione di massa, del popolo. Un secondo punto comune a tutti questi movimenti è che sono diretti contro regimi che durano da decenni, com’è il caso di Tunisia (21 anni), Egitto (quasi 30 anni), Libia (42 anni), Yemen (21 anni), etc… Tutto questo quasi dappertutto sta a significare che la gente è stufa, vuole un cambiamento e si manifesta così: “Vattene!”. I manifesti affissi in arabo dicono irhal, che significa “Vattene!”, come per dire “Basta, adesso”. Addirittura il movimento di opposizione a Mubarak si chiama in arabo “Basta”, “kefaya!” . Il terzo aspetto che mi colpisce, è che comune a tutti questi paesi, è la motivazione, che è essenzialmente il fatto di poter trovare un lavoro, fondare una famiglia, e vivere con un minimo di decenza. Nel caso della Tunisia tutto questo è partito da questo giovane tunisino [Mohamed Bouazizi, giovane bruciato vivo il 4 gennaio 2011, n.d.r.] che aveva studiato e non trovava lavoro, e che alla fine decide con le poche economie che aveva di comprare un po’ di verdura per venderla in strada. Ed ecco che la polizia arriva e gli dice “tu non hai un permesso” e si prende tutta la roba. La sua vita viene troncata di colpo, così, proprio metre sta lottando per vivere, e allora si è dato fuoco. E questo ha suscitato un forte movimento di protesta in Tunisia. In Egitto ci sono circa 30 milioni di egiziani che vivono con meno di due dollari al giorno. Una cifra che non permette di vivere neanche semplicemente. E questa situazione si trova un po’ dappertutto. In questo, c’è un contrasto fortissimo con i responsabili, con i governanti, che non hanno problemi nella vita ma che al contrario conducono una vita lussosa, sono ricchissimi, ed hanno non solo milioni di dollari ma addirittura miliardi. Finora tutto ciò è stato accettato, ma adesso c’è stata la reazione: non si può, non è giusto. Una quarta caratteristica che mi ha colpito è che non c’è stata aggressività, come è accaduto di solito, contro nessuno. Voglio dire, non si è attaccata l’America, non si è calpestata la bandiera americana o quella israeliana, semplicemente la gente si è preoccupata concretamente della propria sort. E non ha tentato di uccidere o di mettere in prigione i capi di governo: sono condannati ma li lasciano andar via. Cioè rimane un movimento che non è contro chiunque ma è per la vita, per una vita più decente, più dignitosa. Tutto questo mi fa dire che si tratta di una vera primavera che si annuncia nel mondo arabo e che speriamo faccia sbocciare qualcosa di positivo.

E’ l’inizio di un cammino verso la democratizzazione o invece potrebbe portare al potere i radicali?

P. Samir Khalil Samir: Io sono incline a dire che andiamo verso una maggiore democrazia. Vedendo le foto e i video è chiaro che non sono giovani manipolati da movimenti radicali, da estremisti. In Egitto era abbastanza chiaro, per esempio musulmani e cristiani erano mano nella mano, e gli estremisti non sono riusciti a metterli gli uni contro gli altri. Non ci sono riusciti i politici, sono spariti. Hanno provato un po’ a fare una controrivoluzione, poi se ne sono andati. Non sono in nessun modo estremisti radicali. C’era anche un’atmosfera quasi di festa, come una festa popolare. Essi desiderano, mi sembra, più democrazia. C’è un fatto che in Europa, in Occidente, non si segnala, cioè che la gente è consapevole nel mondo arabo, e lo scrivono tutti i giorni, che il mondo arabo sta molto male. Che siamo diventati tra i peggiori al mondo. Questo sentimento è molto diffuso tra gli intellettuali: che cosa abbiamo prodotto per il bene dell’umanità? E c’è un’aspirazione a poter vivere come negli altri paesi. La gente è ben consapevole dell’Europa, il mondo arabo è vicinissimo all’Europa, tutti hanno dei parenti che vivono in Francia, in Germania, in Italia, in Belgio, in Germania, in Inghilterra, ecc, e sanno che la vita qui è diversa. Sanno che qui, malgrado tutte le difficoltà economiche, c’é più giustizia, che se uno dovesse andare in ospedale per un intervento, puo’ andare anche se è povero: il sistema democratico europeo lo permette, anche se non può pagare. Sa che sarà difeso da un avvocato, anche se non può pagare…La giustizia funziona per i poveri come per i ricchi, o quasi! Tutto questo lo sappiamo dagli amici, oppure da Internet che la gente utilizza sempre di più, oppure ne sente parlare da altri amici. Questo sta creando un fortissimo appello alla democrazia. Per questo, credo che i movimenti radicali (che siano religiosi, oppure comunisti, o altro) non siano rappresentativi in questa rivoluzione. E non sono rappresentati.

Il documento Imam e intellettuali egiziani: Rinnovare l’Islam verso la modernità ha suscitato molto interesse su Internet. In un giorno esso è stato pubblicato da più di 12.400 siti arabi. In quel documento si parla di separazione tra religione e Stato, di ridimensionare il ruolo delle donne, tra le altre novità. Questo documento riflette lo spirito che anima le manifestazioni?

P. Samir Khalil Samir: Il documento citato da Asianews a cui si riferisce l’ho inviato io, è venuto fuori il 24 gennaio, cioè un giorno prima di questa rivoluzione. Non c’era alcun calcolo dietro. Ha suscitato, come lei dice, un grande interesse: in poche ore l’ho rintracciato su 12.400 siti arabi, suscitando più di 160 risposte sul forum della rivista settimanale. Poi la rivoluzione ha centrato l’attenzione su altre cose. Perciò dopo il 25 ci sono pochi interventi su questi siti, abbiamo la testa impegnata su altre cose. Ma anche in questi movimenti, la separazione tra religione e Stato appare nuovamente, non è solo nel documento articolato in 22 punti. È una richiesta dappertutto! Stavo leggendo proprio adesso un forum tunisino sulla laicità, e nella maggioranza degli interventi si legge “sono favorevole ad una vera laicità in Tunisia”. Alcuni rispondono “ma la Tunisia è abbastanza laica”, e la risposta è: “sì, ma su alcuni punti non è laica, non dà la libertà di non praticare la religione apertamente”, “nelle eredità non tratta ugualmente le femmine e i maschi”, e cose simili. Voglio dire, questo desiderio di operare una distinzione tra religione è Stato è un sentimento comune. La religione è una cosa buona in sé e non vogliamo ostacolarla, purché rimanga nel suo ambito, come una cosa piuttosto privata, che non entra nelle leggi dello Stato. Invece i diritti umani, questi sì! La gente comincia a distinguere tra la religione, che ha dei principi etici, ed i diritti che sono la base fondamentale della vita, sia per l’individuo che per la comunità. Ai diritti umani, dicono qui, non possiamo rinunciare. E se la legge religiosa vacontro i diritti umani, allora preferiamo i diritti umani anzicchè la sharia. In questa linea vediamo sempre più gente che si esprime. Io credo che questa sia una presa di coscienza più generalizzata sui diritti umani, sulla vera democrazia e sulla libertà.

Una delle “sorprese” di questo movimento civile è stata la partecipazione sia dei musulmani che dei cristiani. Come valuta questo aspetto?

P. Samir Khalil Samir: È una cosa che mi ha sorpreso, sopratutto in Egitto. In Egitto c’é un 10% di cristiani, e nel primo gennaio c’è stata quella strage in cui sono morti 23 cristiani in chiesa. Eppure tre settimane dopo, ecco che vediamo insieme cristiani e musulmani, mano nella mano, che elevano la croce ed il Corano, o che indossano i loro simboli, ad esempio una bandiera con una grande croce e una grande mezzaluna, oppure un musulmano che prega a terra sulla bandiera egiziana lasciando al lato gli occhiali da sole marcati con la croce e la mezzaluna. Oppure quando il venerdì i musulmani, davanti ai carri armati, si sono inginocchiati per pregare, mentre i cristiani, i copti, li hanno circondati per proteggerli, facendo una catena con le mani. Sono tutti gesti di solidarietà. Gli striscioni dicevano “Musulmano e cristiano, una sola mano”, oppure “Musulmani e cristiani uniti contro il governo”. Credo che anche questo dipenda dal fatto che sia un movimento di giovani. I giovani non vogliono più vivere nell’odio, sono stufi anche di questi conflitti dei loro genitori, della generazione più anziana, e dicono “lasciateci in pace!”. Non vogliono trascinare queste lotte nella loro vita. Credo che sia questo l’aspetto di fondo: la gente vuole vivere in pace, costruire la propria famiglia, il suo popolo, avere una nazione più aperta, più evoluta.

Secondo lei, è possibile la separazione tra religione e Stato in questi paesi, oppure occorre più tempo perché si formino maggiormente le coscienze?

P. Samir Khalil Samir: Ci vorrà un po’ di tempo, ma progredisce, va avanti. Per esempio, stavo leggendo un altro articolo di una donna saudita, la quale si basava su un fatto della storia, e cioè che Aisha, la giovane moglie di Maometto, in una delle guerre famose, andava a cammello e lo guidava da sola, per incoraggiare gli uomini della sua tribù durante la guerra. E allora la giornalista saudita scriveva dicendo: “la giovane Aisha guidava il cammello da sola e non aveva bisogno di uomini, e noi donne di oggi, dopo 14 secoli, non possiamo guidare la macchina. Ma dove siamo?!”. Davanti a questo ci sono degli imam che rispondono “ma quella vuole reinterpretare tutta la religione” e la criticano, ed altri che rispondono “ma che errori ha fatto? Se non siete d’accordo spiegateci il perché”. Già attraverso Internet, attraverso questi dibattiti continui che sono aperti a tutti c’è un cammino che si fa largo nel mondo musulmano. La gente si chiede “perché dobbiamo accettare tutto questo? Il fondamento di tutto è la parità, Dio ha creato tutti simili. Perché non possiamo avanzare su quest’idea”, ecc. Internet sta modificando le mentalità, sta avvicinando gli uomini gli uni agli altri. La vera globalizzazione non avviene attraverso l’economia, ma attraverso Internet. È lì che i giovani dell’America e quelli dello Yemen possono avvicinarsi, ed avere non pareri identici, ma pareri vicini.

Una delle sfide, insieme alla questione delle minoranze, è il ruolo della donna nei paesi islamici. Quali prospettive ci sono in questo momento?

P. Samir Khalil Samir: Ci sono due correnti in lotta. C’è una corrente di donne, sostenute anche da uomini, che dicono di non essere né superiori né inferiori agli uomini, ma uguali, e non accettano che la donna non possa fare questo e non possa fare quest’altro, poiché negli altri paesi vedono le donne in tutti i settori della vita, e si chiedono “perché non da noi?”. Questa è una corrente sempre più forte. Poi c’è una corrente contraria, e piuttosto religiosa, secondo cui Dio ha stabilito tra l’uomo e la donna una differenza di qualità, perché come dice il Corano gli uomini sono un grado superiore alle donne (wa-fîmâ baynahumâ daragah) perché Dio ha preferito gli uomini alle donne. E le donne rispondono sì, però la referenza in questo versetto è motivata dal fatto che l’uomo è colui che mantiene la famiglia. Però questo oggigiorno non è più vero, perché ci sono donne che mantengono le loro famiglie. Dunque non è un fatto legato alla natura dell’uomo o della donna, ma è un fatto socio-culturale. Ed è in questa linea che le cose stanno cambiando, anche se lentamente, in alcuni paesi. E non c’è dubbio che abbiamo visto la Benazir Bhutto in Pakistan, che era capo dello Stato, ed in altri paesi tante ministre che sono donne notevoli, anche premi Nobel come in Iran… C’é una presa di coscienza che se si dà alle donne la libertà di agire, possono essere anche superiori agli uomini. Ma non è facile, è una lotta che durerà ancora alcuni decenni.

Quali sono le prospettive di questo “’68 islamico”? Specialmente per i cristiani? Ad esempio, il patriarca Naguib sta invitando i cattolici ad impegnarsi nella vita pubblica.

P. Samir Khalil Samir: Come dicevo prima, questa è una primavera nel mondo arabo. Sarebbe assurdo che i cristiani ne rimanessero fuori, perché veramente, senza fare della falsa apologetica, abbiamo già tutti questi principi, nella lettera e nello spirito del Vangelo: quello dell’apertura all’altro, della ricerca della giustizia e della pace, e forse il musulmano potrà dire lo stesso. Dunque è sicuro che questa corrente propone una società che corrisponde di più ai criteri evangelici rispetto alle società precedenti. E dunque, benvenuti i cristiani! Se, avendo un così forte sostegno dalla propria fede, vanno insieme con i musulmani e non fanno un movimento a parte, se lottano per una maggiore giustizia, per una maggiore democrazia, per una maggiore libertà, per una maggiore uguaglianza tra tutti, un’uguaglianza che non faccia distinzione tra i sessi, la razza o la religione, che non ponga il credente al di sopra del miscredente o il musulmano al di sopra dell cristiano, allora saranno benvenuti! Questo è il principio, e poiché la pace è il fondamento della società civile, e la pace non esiste senza la giustizia, e la giustizia presuppone anche il saper perdonare… tutti questi sono principi che sentiamo tutti i giorni nella Chiesa, che sono stati ripetuti anche dai Sommi Pontefici, e che sono validi anche per i musulmani. E credo che sia un’occasione per la nuova generazione – siano essi cristiani, musulmani, atei, non importa – un’occasione per dire: noi lottiamo per i diritti della persona umana, e vogliamo proporre, tutti insieme, un progetto di società nuova. In questo senso, mi sembra, vada questa rivoluzione, questa primavera nel mondo arabo.

Quindi tutto sommato, lei guarda in modo positivo a quanto sta accadendo…

P. Samir Khalil Samir: Sono molto ottimista, ottimista con realismo, nel senso che c’é un punto interrogativo: finché non c’é un governo chiaro con una linea precisa da seguire, finché non ci sarà un’organizzazione identificabile, non potremo essere sicuri. Occorrono delle strutture. Per il momento siamo ancora nella fase dell’esplosione, della scoperta. Spero, però, che si possa passare rapidamente ad una società fondata su questi principi che abbiamo enunciato.

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