storia delle missioni vercellesi in Kenia

Vicariato di Isiolo

La storia della missione vercellese in Kenya è ormai prossima al mezzo secolo e alcuni dei suoi attori principali sono ormai scomparsi, ma impegno di questo sito è anche ricostruirne con pazienza, fedeltà e attenzione le tappe proprio per imparare, per poter entrare in modo non indegno in questo grande sforzo di sequela all’invito missionario che Gesù fece ai suoi discepoli e che va rinnovato con impegno ed entusiasmo in ogni epoca compresi i nostri non facili tempi.

Inseriamo in questa panoramica sul Vicariato di Isiolo e la sua storia anche i due link alle pagine di Wikipedia che parlano del vicariato stesso:

Cominciamo questo impegno pubblicando qui una testimonianza che don Pio ha presentato in un incontro del 2007:

La Missione Vercellese in Africa

(Testimonianza di don Pio Bono alla Veglia Missionaria 20 ottobre 2007)

Carissimi, penso che questo sia il momento per narrarvi come nacque la Missione ad gentes Vercellese. Anch’io faccio parte di questa avventura missionaria da quasi 40 anni. Ho vissuto tutti i momenti belli e non belli della Missione. Ancora oggi sto vivendo questa fantastica avventura in Mozambico.
Quest’ anno ricorre il 50° anniversario dell’ enciclica “Fidei Donum”.
Il papa Pio XII, Eugenio Pacelli, ha dato una scossa grande al mondo missionario con l’enciclica “Fidei Donum” nel 1957. Anticamente le chiese particolari – Diocesi- appoggiavano gli istituti missionari che erano istituzioni propriamente preparati all’ annuncio del Vangelo a tutti i popoli.
Questa enciclica invece invitava tutte le diocesi del mondo ad essere protagoniste nella Missione ad gentes, cioè ad appoggiare altre chiese di Missione, a crescere e vivere con loro il dono della fede (fidei donum).
Negli anni passati dalla Diocesi di Vercelli partirono molti giovani per questi istituti missionari, ricordiamo padre Secchia di Masserano, padre Francesco Comoglio di Motta dei Conti, padre Piero Gheddo di Tronzano, padre Renzo Adorni di Santhià, padre Giuseppe Fiore di Pezzana e don Minghetti di Vercelli.
Sei anni dopo 1′ enciclica del papa, giunse la risposta della Chiesa vercellese. Nel 1963 iniziò 1’avventura missionaria ad gentes della Chiesa vercellese con 1′ approvazione ufficiale di Mons. Francesco Imberti, allora arcivescovo di Vercelli. Don Luigi Locati fu il primo prete ad offrirsi ad aprire questo cammino. A questo punto é doveroso ricordare la grande figura di un prete vercellese, don Eugenio Giacometti. Lui é stato il vero artefice di questa avventura e apertura al mondo missionario per noi preti diocesani. É stato lui a prendere i primi contatti con i missionari della Consolata di Torino per aiutare 1′ inserimento di don Luigi Locati nel nuovo mondo delle Missioni.
E’ stato lui a redigere documenti e convenzioni fra la Diocesi di Vercelli e la Diocesi di Meru, in Kenya, con il vescovo locale Mons. Lorenzo Bessone.
Don Luigi partì per Londra per imparare la lingua inglese e tornò nel 1964 e fu mandato in Kenya nella missione di Tigania e poi a Isiolo. In Kenya era appena terminata la guerra di indipendenza dagli inglesi e la gente era stata raggruppata in grandi centri, molto simili a campi di concentramento, per un maggior controllo della popolazione. Erano scene apocalittiche di miseria umana.
Don Luigi subito iniziò con asili e scuole e si rese conto che il lavoro era enorme ed aveva bisogno di rinforzi. Chiese aiuto a don Giacometti e all’ Arcivescovo di Vercelli. A quel tempo io ero viceparroco proprio in questa chiesa di Santa Maria Maggiore e anche successore di don Luigi all’ oratorio S. Giuseppe nella zona del Cervetto.
Don Giacometti si presentò in bicicletta all’ oratorio S. Giuseppe e mi disse: “Senti Pio, il tuo amico Luigi, in Kenya, ha bisogno di un aiuto. Tu sei figlio di agricoltori, hai certamente forza e salute per riuscire”. Partii il 1 novembre 1968 da Venezia con una nave. Dopo 25 giorni di viaggio arrivai a
Mombasa. Don Luigi era là ad aspettarmi. A quel tempo viveva in una stanzetta senza luce e senza acqua ed in alcuni giorni a pranzo c’era solo insalata e un uovo sodo da spartire in due.
II lavoro era grande nel Distretto di Isiolo. Nel gennaio 1972 arrivò il diacono Franco Givone, per un esperienza missionaria prima dell’ ordinazione sacerdotale. Fu un colpo di fulmine anche per lui che subito comprese che nella vita missionaria poteva realizzare tutto quanto stava nel cassetto dei suoi sogni.
Nel 1969 anche le suore di S. Eusebio risposero all’ invito di Mons. Albino Mensa inviando tre suore. Subito iniziarono il loro lavoro nel dispensario e nell’ asilo. Per motivi di salute e di ambientazione tornarono in Italia dopo due anni. A sostituirle giunsero le Suore di S. Maria di Loreto, animate e spinte da Suor Angelina Merlo. Dopo un po’ di tempo di ambientazione si resero presenti in tutte le attività della Missione. A loro fu affidato: il funzionamento dell’ asilo, del dispensario, e il lavoro della promozione della donna quali il cucito e l’igiene.
L’opera caritativa della Chiesa cattolica ad Isiolo era l’unica ad interessarsi della miseria della gente. Il Distretto di Isiolo si estende per 25.000 Km2. Due sono i centri popolosi oltre ad Isiolo: Garba Tula e Merti. Le autorità locati musulmane richiesero con insistenza la presenza caritativa della Chiesa Cattolica anche in quelle zone.
Alla fine degli anni 70 si aggiunse un altro sacerdote vercellese don Guido Pezzana, compaesano di don. Luigi. Di comune accordo decidemmo di dividerci le tre zone del Distretto. Don Luigi rimaneva ad Isiolo come appoggio e sostegno, don Guido fu mandato a Garba Tula e io a Merti.
L’Africa ha le sue esigenze segrete e don Guido dopo alcun tempo tornò in Italia. Ecco allora don Franco Givone prendere il suo posto nel deserto di Garba Tula e dopo due anni tornò ad Isiolo con don Luigi e vi rimase per 18 anni. Nel 1990 don Franco fu chiamato a Roma per lavorare per la CEI, appoggiando il lavoro dei missionari italiani in Africa. Nel 1996 ritornò ad Isiolo come Vicario generale di don Luigi, vescovo di Isiolo. Altri preti vercellesi si offrirono al servizio pastorale missionario. Don Pino Ferrarotti arrivò a Merti pieno di entusiasmo e capacità reali. Dopo alcuni anni tornò in Italia per motivi di salute sostituito da don Luciano Pasteris che vi rimase per 10 anni. Il suo arrivo a Merti favorì un grande sviluppo delle scuole elementari e secondarie ed inoltre, in campo sociale, Don Luciano, grazie alle sue capacità umane ed intellettuali, seppe relazionarsi bene con la cultura borana locale.
Oltre ai sacerdoti, la diocesi dì Vercelli inviò anche laici. Ad affiancare don Luigi nel suo grande lavoro, nel febbraio del 1973 arrivò ad Isiolo il dott. Lino Cossetti. Fino a pochi mesi prima era vice-direttore della Chatillon, azienda chimica vercellese. Utilizzò le sue capacità di amministratore per dare più tempo al d. Luigi nel lavoro missionario. Il dottor Lino si prese cura dei problemi economici, e dopo un po’ di tempo di ambientamento e apprendimento della lingua inglese, assunse la direzione della scuola tecnica della Missione. Era molto stimato dagli alunni per la sua puntualità, per la grande pazienza e per la meravigliosa testimonianza di fede cristiana. Ritornò in Italia nel 1988 dopo 15 anni di lavoro. Una piccola parentesi: il dott. Cossetti lavorava 10 ore al giorno ed invece di essere pagato versava tutta la sua pensione alla Missione di Isiolo (in poche parole lui pagava per stare in Missione).
Altra grande figura di laico missionario fu Felice Bagnati, L’ Africa ha le sue difficoltà e arrivò nell’ ottobre del 1985; legato da grande amicizia con don Luigi, si licenziò da capo meccanico del reparto manutenzioni impianti della Pavesi di Novara ed offrì le sue capacità al servizio della Missione. Era meccanico, muratore, saldatore ed elettricista. Riparava con facilità le macchine da cucire, gli elettrodomestici, TV, gli orologi ed i computer. Era il factotum della Missione. Quando qualcosa non funzionava, si chiamava il Felice e tutto era risolto. Ma l’opera in cui egli manifestò le sue capacità sorprendenti fu la costruzione della Cattedrale di Isiolo. Un monumento architettonico di grande rilevanza. Egli, con una squadra di giovani volenterosi, cominciò e terminò la grande opera che ancora oggi domina tutta la cittadina di Isiolo, dall’ alto delle due torri alte 27 metri. Un giorno volendo modificare un piccolo particolare del soffitto del presbiterio, salì fino in cima per iniziare il lavoro. Quello che successe nessuno lo vide, cadde dal soffitto da 14 metri. Morì all’ istante, proprio ai piedi dell’ altare come offerta della sua vita a Dio. Martire del lavoro, umile e silenzioso.Felice é l’esempio per tanti giovani che non sanno dare significato alla vita. Morì il 22 febbraio 1995: dieci anni in missione al servizio degli altri.
Don Luigi Locati ad Isiolo continuò il lavoro cominciato nel 1964: scuole elementari, secondarie, college per segretarie d’azienda, una scuola per l’avviamento al lavoro. Praticamente don Luigi, con il suo carattere duro e forte, era il punto di riferimento di tutta l’azione di sviluppo umano e religioso del distretto.
Nel 1995 don Luigi fu eletto Vescovo di Isiolo e cominciò ad organizzare la nuova Diocesi. Il pensiero che sempre affiorava dentro di lui era africanizzare tutte le missioni. Era giunto il tempo di dare responsabilità e fiducia al clero africano. Ecco che un giorno, di ritorno da Nairobi, ci disse che aveva trovato una congregazione missionaria africana (Apostoli di Gesù) pronta a prelevare le nostre Missioni di Merti e Garba Tula. Ci chiamò e ci parlò del suo piano di africanizzazione.
Di accordo con il Nostro Arcivescovo, Mons. Enrico Masseroni, tornammo a Vercelli: don Franco, don Luciano, Suor Alda, Caterina ed io. Era il novembre 1998, erano passati 34 anni dal!’ inizio della presenza del clero vercellese ad Isiolo in Kenya.
La notizia di lasciare Isiolo non fu ben compresa qui in Diocesi. Ancora oggi qualcuno ce ne chiede il perchè. La risposta chiara e vera è stata appena descritta: don Luigi pensava e credeva che fosse giunto il momento di lasciare agli africani la possibilità di esprimersi con la loro cultura e capacità.
Don Luigi si immerse totalmente, anima e corpo, nel suo lavoro, aiutato da questi preti africani.
Rimasero ad Isiolo, a fianco di Mons. Locati, le Suore di Loreto ed ancora oggi sono immerse in un lavoro di educazione giovanile con una scuola elementare e un asilo.
In una riunione del Consiglio Presbiterale tenutasi nel Seminario di Vercelli nella primavera del 1999, fu deciso che la Missione ad gentes della nostra diocesi, pur con la scarsità di clero diocesano, dovesse continuare ad inviare alcuni suoi sacerdoti religiosi e laici in Missione. La fede si rafforza donandola. Don Franco Givone, come responsabile del Centro Missionario Diocesano, fu incaricato di trovare una nuova missione.
Dopo un viaggio esplorativo nel sud dell’ Etiopia fu accettato 1’invito di un Vescovo mozambicano Mons. Alberto Setele ad aprire una Missione nella sua vasta diocesi. Ci offri Maimelane, un piccolo paese che si trova a 25 km dal distretto di Inhassoro e a 800 Km. a nord dalla capitale Maputo. Il distretto di Inhassoro si affaccia sull’ Oceano Indiano con una popolazione di oltre 50.000 abitanti, con solo un migliaio di cristiani e tutti gli altri appartenenti ad altre chiese o animisti.
Nel 1999 partimmo per il Portogallo per imparare la lingua. Eravamo in quattro: don Guido Pezzana, che con coraggio ritentava l’avventura in terra di Missione, suor Alda Vola, Caterina Fassio, missionaria laica di Cigliano e il sottoscritto.
L’ apprendimento della lingua é sempre il primo passo che si richiede per comunicare con la popolazione. Ed a una certa età non è facile. Per lavorare in Kenya abbiamo sudato parecchio per imparare l’ inglese, il kiswahili e il borana. Ora in Mozambico si parla portoghese e xitswa.
Ci fermammo in Portogallo per 4 mesi e il 23 febbraio del 2000 partimmo per il Mozambico. Subito fummo accolti da una grande alluvione in cui morirono 1600 persone.
Anche qui in Mozambico, dopo uno studio profondo della realtà, é risultato chiaro che la povertà del popolo africano, non é solo mancanza di mezzi, ma povertà di testa, che vuol dire mancanza di educazione ad usufruire delle risorse naturali che la terra offre.
Il 14 luglio del 2005 ricevemmo la terribile notizia della morte di don Luigi. Rimanemmo in silenzio per molto tempo, nessuno era preparato a ricevere questa notizia. Don Luigi aveva dato la vita per l’ideale in cui credeva. Fui al suo fianco per 30 anni, posso dirvi che l’ho conosciuto profondamente. Carattere spartano e senza fronzoli. Era stato vittima del suo intenso lavoro. L’ invidia di un gruppo di fondamentalisti islamici pensò di eliminare l’opera di solidarietà di don Luigi, uccidendolo. Il suo lavoro però, benedetto con il suo sangue come ai tempi dei primi cristiani, continuerà per sempre.
Inizialmente tutta la comunità missionaria vercellese risiedeva in Maimelane, dove c’è una casa ed una Chiesa, ricevuta in eredità dai missionari della Consolata.
Nel mese di luglio del 2001, il Vescovo di Inhambane Mons. Alberto Setele mi chiese con insistenza di aprire una missione ad Inhassoro che era 1’unico capoluogo di distretto senza la presenza della Chiesa cattolica. Con l’accordo del nostro arcivescovo accettammo la separazione: Don Carlo Donisotti e Sr. Alda rimasero a Maimelane con l’aiuto delle suore della Consolata.
La Missione di Maimelane è formata da 26 comunità che don Carlo visita con cura ogni due mesi. Con l’aiuto di Suor Alda si iniziarono 11 asili con un totale di 250 bambini.
La zona di Maimelane é zona molto arida con poca acqua. Don Carlo, con gli aiuti ricevuti da diversi amici, é riuscito a scavare 7 pozzi per la gente e a creare un centro nutrizionale dove i bambini denutriti ricevono un aiuto alimentare; si aiutano inoltre anche i bambini figli di donne sieropositive che non possono allattare.
Sin dal 2000 a Maimelane funziona un Centro di accompagnamento scolastico frequentato da circa 200 bambini delle scuola elementare. Vengono al mattino per la colazione e al ritorno da scuola per il pranzo. Al pomeriggio, aiutati da alcuni maestri, fanno i compiti e poi tornano ciascuno alla propria casa.
Ora con la partenza di suor Alda, don Carlo Donisotti é coadiuvato da un diacono mozambicano e da tre suore Sorelle Misericordiose.
Caterina Fassio ed io, nel 2001, ci siamo trasferiti ad Inhassoro per aprire e cominciare la nuova Missione di Inhassoro. Ci accampammo tra mille difficoltà, privi come eravamo anche dell’acqua. Un po’ alla volta abbiamo costruito la nostra e le altre strutture ecclesiali.
Inhassoro è una cittadina di 26.000 abitanti, adagiata a contemplare le bellezze dell’ Oceano Indiano e le isole di Bazaruto. Il 95% della gente vive ancora in capanne di paglia e pochi privilegiati hanno case in muratura. Quasi nessuno ha 1′ acqua in casa, tutti vanno a rifornirsi nei pozzi pubblici.
Noi fummo accolti con grande gioia dalla popolazione. Non c’era neanche una cappella dove celebrare la Messa. Celebravo sotto l’ ombra di un grande anacardio alla presenza di 30 – 35 persone.

La fede si rafforza, donandola.

  • Ora alla messa domenicale partecipano circa 1.000 persone. La maggior parte é ancora pagana, ma vuole sentire la Parola che salva, libera, che esprime forza nel cammino duro della vita. Per ricevere il Battesimo ci vogliono tre anni di frequenza al catechismo. Quest’ anno sono 130 i catecumeni che si stanno preparando al battesimo.
    Anche qui ad Inhassoro risultò chiaro che la povertà della gente era dovuta alla mancanza di istruzione. I coloni portoghesi avevano dato possibilità di istruzione solo fino alla 4a Elementare. Gli africani non potevano essere proprietari di negozi e botteghe. Potevano possedere terreni fino ad un ettaro e non oltre. Praticamente era un popolo forzatamente tenuto sottomesso affinché non si ribellasse ai padroni. E tutto questo fino al 1975 anno in cui iniziò la guerra civile durata 27 anni, fino al 1992, causando due milioni di morti e distruggendo tutto.
    Caterina Fassio cominciò con un’ asilo sotto le piante. In poco tempo i bambini arrivarono a 140. Con 1’aiuto di un benefattore di Cigliano fu costruito 1’asilo in muratura.
    Le persone che arrivavano ad Inhassoro per le spese o per l’ospedale rimanevano meravigliati nel vedere questi bambini parlare il portoghese. Subito chiesero alla Missione di avere questo beneficio anche per i loro figli che vivevano nella foresta.
    Oggi Caterina coordina e segue 17 asili con circa 800 bambini iscritti. A tutti questi bimbi, oltre all’istruzione, é assicurata una merenda preparata con farina e latte.
    La nostra preoccupazione più grande era però la formazione dei giovani che terminavano le scuole dell’obbligo. Un giorno un gruppo di anziani giunse in Missione a chiedere l’aiuto di una scuola che insegnasse non solo a scrivere e a leggere, ma anche un mestiere. Dissero che i giovani non sapevano fare nulla di pratico. Per incontrare un meccanico, un falegname, un elettricista bisognava andare fino a Maputo, a 800 km di distanza.
    Durante le mie solite vacanze in Italia, mi incontrai con il dott. Luigi Bobba, a quel tempo presidente nazionale delle ACLI. Parlai con lui della richiesta degli anziani : la costruzione di una scuola tecnica. Accettò volentieri la proposta e chiamò il progetto “Una speranza per il Mozambico”.
    L’ opera iniziò nel 2002 con il nome locale di “Estrela do Mar”, Stella del Mare, e fu inaugurata nel 2003 con i corsi di falegnameria, sartoria, meccanica e per elettricisti. Attualmente sono 250 gli studenti che frequentano la scuola imparando un mestiere. Quest’ anno con una solenne cerimonia abbiamo consegnato i primi diplomi. Erano presenti alla cerimonia oltre ai rappresentanti del Governo mozambicano, 1’ambasciatore dell’ Italia in Mozambico, una delegazione italiana con il segretario delle Acli, dott. Roberto Oliva, il sen.Luigi Bobba, una giornalista del Corriere Eusebiano e alcuni amici. Il commento che il ministro dell’ Educazione mozambicano fece nel giorno dell’ inaugurazione é stato: “Finalmente i bianchi hanno costruito per noi neri una scuola come la costruiscono per i loro figli in Italia”. L’ opera é davvero bella e molto efficiente.
    Voglio ringraziare le ACLI, proprio in questo giorno della giornata mondiale delle Missioni, per il dono di questa splendida scuola. Questa scuola é un esempio per altre istituzioni: è dare una mano per aiutare la crescita umana e professionale di un popolo che vuole uscire dall’oscurità e dalla povertà.
    Le Acli hanno dato 1′ esempio, non con le parole, ma con i fatti di come si possa aiutare un paese non fortunato come l’ Italia. Voglio ricordare anche l’aiuto pratico e mirato del Rotary Club di Vercelli per la donazione di macchinari per la scuola di falegnameria e meccanica.
    II prossimo anno, nel 2008, il CELIM di Milano, ci ha offerto le strutture (aule e macchinari) per una scuola alberghiera. Il Governo mozambicano ci ha inoltre offerto una casa di accoglienza per le ragazze che frequentano la scuola tecnica. Con 1′ aiuto delle suore comincerà a funzionare dal prossimo anno.
    La Missione inoltre ha aperto da tre anni una casa di accoglienza per bambini orfani o di genitori con 1′AIDS. Sono 15 e vivono con noi. Ringrazio pertanto coloro che ci aiutano con le sponsorizzazioni, permettendoci di poter continuare quest’ opera a favore dell’ infanzia.
    La Parrocchia di Inhassoro é stata dedicata a Santo Eusebio. È formata da 28 comunità di cui 6 sulle isole.
    Io settimanalmente visito 3 o 4 villaggi. Responsabili delle comunità cristiane sono circa 70 catechisti che, dopo una preparazione realizzata a Maimelane, dirigono e spiegano il Vangelo in tutte le comunità. Tutti i catechisti lavorano gratuitamente, non ricevono aiuti in denaro. L’unico aiuto che ricevono è da parte dei loro cristiani che li aiutano a zappare i loro campi. E’ il loro modo di dire Grazie per 1′ impegno che offrono alla Comunità.
    Regolarmente ogni due mesi visito tutte le 28 comunità, celebrando l’Eucarestia. La visita del padre coincide anche con la riunione del Consiglio della Comunità. Si parla dei loro problemi, degli ammalati, dei bisticci tra moglie e marito, di chi ha rubato la gallina o la capra scomparsa.
    Nel 2005 venne a vivere con noi il seminarista vercellese Pier Leo Lupano di Santhià. La sua giovane età ed il suo entusiasmo hanno subito contagiato i giovani di Inhassoro. Questa esperienza missionaria lo ha accompagnato fino all’ ordinazione sacerdotale. Ora noi aspettiamo con ansia il suo ritorno ad Inhassoro.
    La nostra comunità di Inhassoro da due anni si prepara per la costruzione della nuova Chiesa per la quale tutti i cristiani si sono tassati, ciascuno secondo le proprie possibilità. Ora stiamo ancora utilizzando una cappella fatta di canne. Per la festa della posa della prima pietra avevamo invitato il nostro Arcivescovo e il vescovo di Inhambane. Tutto era stato preparato per il 25 febbraio 2006, quando arrivò un ciclone chiamato “Favio” che cancellò tutti i nostri preparativi. Alla notizia del suo arrivo, noi tutti avevamo pensato che fosse un ciclone simile a quello del 2003, che aveva rovinato solo qualche casa per cui nessuno si preoccupò più di tanto. Poi il 22 febbraio alle 9 cominciò il vento.
    Alle 11 molte case erano già state scoperchiate. Alle 2 del pomeriggio il vento arrivò a soffiare a 240 km all’ ora. Gli alberi furono sradicati e volavano per aria, così pure le lamiere delle case. Le macchine venivano rovesciate e/o sollevate da terra. Verso le 16 tutto si calmò e iniziò la pioggia torrenziale. In città ci furono una decina di morti (2 sepolti dal muro della casa, 1 schiacciato da un albero, gli altri per le ferite delle lamiere che erano volate per aria). La Missione fu praticamente tutta distrutta, compresa la nostra casa e la casa dei bambini orfani. Una stanza e la cappella del Santissimo furono risparmiate. Il danno venne calcolato in 200 mila euro.
    II nostro Arcivescovo, don Franco Givone e don Gianni Fagnola, che erano in viaggio per partecipare alla cerimonia della posa della prima pietra, erano bloccati a Johannesburg in Sud Africa perché la torre di controllo dell’ aeroporto di Vilanculo era caduta. Non vi era inoltre alcuna possibilità di comunicazione perchè le torri del telefono erano tutte crollate . Il radar dell’ aeroporto venne rimesso in funzione solo nella giornata del 25, permettendo così al1′ aereo di atterrare all’ aeroporto di Vilanculo.
    L’ arrivo dell’ Arcivescovo, di don Franco e di don Gianni ci diede subito una scossa di fiducia. Visitarono la Missione e si presero a cuore la situazione. Ben presto arrivarono i loro aiuti.
    Lo spettacolo delle case distrutte, degli alberi divelti e sradicati, delle lamiere contorte e del volto triste della gente rimarrà ancora per molto tempo dentro di noi.
    Con l’ intervento del Sen. Bobba anche il governo italiano si mosse e mandò un aereo con tende, coperte e materiale di emergenza. Abbiamo comunque ricevuto l’aiuto più grande dalla nostra gente vercellese.
    La vita riprese il suo ritmo e, dopo un mese, le scuole e gli asili già funzionavano normalmente.
    La festa della posa della prima pietra della nuova Chiesa dedicata a Sant’Eusebio fu celebrata il 4 di agosto alla presenza di don Franco Givone in rappresentanza del nostro Arcivescovo. Fu ancora un momento di festa e di fede profonda. Il momento più solenne fu il trasporto della prima pietra che pesava 140 kg contenente le firme sigillate dei capi dei 28 villaggi, dei 70 catechisti e delle autorità locali, in processione danzando e cantando, dall’altare fino al luogo in cui si sta edificando la nuova Chiesa dedicata a Sant’ Eusebio, il primo vescovo di Vercelli. II problema che sempre ci assilla è come riuscire a rispondere a tutte le richieste che ogni giorno ci giungono per aprire nuove comunità. Sono intere zone, interi villaggi che chiedono la presenza di un Missionario. Il lavoro che però già abbiamo, per la cura delle 28 comunità, della scuola tecnica, dei 17 asili, dei bambini orfani, della casa di accoglienza per le ragazze, del centro giovanile con le varie attività formative e sportive, ci occupa infatti tutta la giornata. Siamo ben coadiuvati da 3 suore mozambicane e da laici locali, ma sono necessari altri volontari. Abbiamo bisogno di una mano.
    Questa giornata missionaria mondiale ha esattamente questo scopo. Ricordare a tutti i credenti che sono attori della Missione. Dio ci chiederà conto di cosa abbiamo fatto per gli altri dopo aver ricevuto il dono della fede. Tutti dobbiamo dare una risposta a queste nuove generazioni che si affacciano sulla scena del mondo.
    Una persona che si dice cristiana non esaurisce la sua fede con l’assistenza ad una messa domenicale o un pellegrinaggio a Lourdes o a Taizè. Un vero cristiano si interroga senza paura. Cosa posso fare nel mio ambiente per aiutare gli altri popoli a conoscere la verità di Dio e ad uscire dall’oscurità che genera povertà e miseria? La miseria che affligge tanta gente nel mondo (e sono i 2/3 della popolazione) non è solo frutto di pigrizia o di malcostume, ma quasi sempre è frutto dell’egoismo dei popoli ricchi che, senza pietà, cercano un guadagno a danno dei poveri. Vivo da 39 anni in Africa, e posso garantire che quando all’ africano è data la possibilità di studiare ed imparare, l’africano ti sorprende per la capacità di fare cose meravigliose e tante volte ti dà lezioni di vita per l’alta capacità di saper amare e rispettare.
    A prova di quanto vi ho detto, vi posso confidare un’ esperienza che molte volte ho sperimentato a Merti, in Kenya, quando vivevo da solo. Don Luigi e don Franco erano a 200 km di distanza e non c’ erano ancora né suore, né laici. Ebbene 2 o 3 volte all’anno prendevo la malaria e la malaria mi costringeva a letto 2 o 3 giorni. Ebbene tutte le volte che ero malato, alla sera 3 o 4 mamme venivano a vegliare fuori dalla porta della mia camera. Portavano un termos di tè caldo e mi dicevano sorridendo: qui non c’ è la tua mamma che ti assiste, ci siamo noi, se hai bisogno, noi siamo qui fuori. Dormivano su una stuoia, sul pavimento del corridoio. Un giorno mi sono alzato verso le cinque del mattino per andare in chiesa e quando ho aperto la porta ho visto che la mia casa era circondata da una decina di uomini armati di lancia.
    Ho chiesto loro cosa fosse successo? Niente padre, ieri sera alle 11 di notte sono entrate nel villaggio 5 persone sconosciute con la faccia poco rassicurante. Abbiamo pensato a te che sei solo e indifeso. Siamo stati svegli tutta la notte per essere sicuri che nulla ti capitasse.
    Come vi ho detto tutti siamo chiamati ad essere attori e protagonisti della Missione, cioè chiamati a collaborare al Regno di Dio e a far conoscere Cristo a tutti gli uomini.

In che modo?

  • Seguire la chiamata di Dio in prima persona, come sacerdoti, religiosi o laici missionari
  • ed essere pronti a partire e lasciare la propria terra.
  • Si può essere missionari anche senza salire su un aereo, ricordando e appoggiando con la preghiera chi è in prima linea.
  • Si può avere spirito missionario, pur restando in Italia, appoggiando e collaborando con progetti(es. ACLI), e con offerte alle attività di promozione umana della Missione.

Ognuno di noi può fare qualcosa per gli altri, per i più poveri.
Saremo tutti giudicati da Dio proprio su questo aiuto che abbiamo dato al più povero.
Questa giornata Mondiale Missionaria sia una occasione per esaminare un po’ la nostra vita e vedere quale è la differenza tra i soldi spesi in un anno per il nostro superfluo (vestiti firmati, telefonini, profumi, cibo speciale per cani e gatti, ecc) e quelli dati per aiutare chi é più povero.
Se il bilancio finale è di 1.000 Euro per le spese inutili e 1 Euro per le missioni, scusatemi, ma non siete in linea con il Vangelo.

Vercelli, 20 ottobre 2007
don Pio Bono

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In memoria di Mons Luigi Locati

Ricordiamo don Luigi Locati: Vescovo di Isiolo – di don Franco Givone

Quando martedì 19 luglio scorso ( 2005 ) ad Isiolo – Kenya – mi sono trovato di fronte alla bara di don Luigi, prima di una preghiera di suffragio, mi è uscita spontanea questa esclamazione :” caro don Luigi, nella vita sei proprio riuscito a fare tutto: anche a farti ammazzare.”
Mi sono subito accorto che non si trattava di una espressione cinica di fronte alla tragica morte di un amico, ma di uno sfogo che disegnava l’icone di una vita donata per gli altri.
Aprendo il breviario, quasi automaticamente mi è tornata in mano la piccola immaginetta che tengo nell’ultima pagina. Nel retro ho già scritto 17 nomi. Si tratta di 17 missionari che ho incontrato nei loro piccoli villaggi africani o in diversi convegni in Italia e che, dopo poco tempo, sono ritornato a pregare sulla loro tomba in Africa. Sacerdoti, religiosi e laici, uomini e donne che hanno in comune oltre all’amore che li ha spinti a mettere la loro vita al servizio della chiesa missionaria, la conclusione tragica della loro esistenza. Ho aggiunto un nome a quella lista : Luigi Locati.
Don Luigi conosceva questa immaginetta e a volte insieme leggevamo i nomi dei comuni amici : p.Luigi Graif, Annalena Tonelli, Mons. Pietro Colombo, p.Luigi Andeni, dr. Alfredo Fiorini. Pensandoci adesso, rivedo nello sguardo di don Luigi un senso di ammirazione ma anche di invidia tanto che un giorno mi disse :” Tutti i missionari dovrebbero essere orgogliosi di far parte di questa lista”.
Questo è il don Luigi che ricordo e con il quale ho condiviso i 20 anni della mia vita missionaria. “Quando sei certo della validità di un progetto a servizio degli ultimi e dei più deboli – ripeteva spesso – non avere paura, non fermarti anche se rischi tanto”. E ancora me lo ripeteva l’ultima volta quando ci siamo incontrati un mese prima della sua morte. “Qualcuno mi ha promesso che me la farà pagare. Ma non per questo mi fermerò”.
Ciao don Luigi, sei riuscito a fare proprio tutto: anche a far scrivere il tuo nome su questa immaginetta.
Don Luigi Locati, nacque a Vinzaglio, provincia di Novara e diocesi di Vercelli, il 23 luglio 1928.
All’età di undici anni entrò nel seminario minore della diocesi (Moncrivello) per passare poi al maggiore di Vercelli dove completò gli studi sacerdotali. Fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Vercelli dall’Arcivescovo Francesco Imberti, il 29 giugno 1952.
Dopo l’ordinazione fu nominato viceparroco nella parrocchia cittadina di Santa Maria Maggiore dove era parroco mons. Giovanni Picco che divenne poi vescovo ausiliare della diocesi.
Nel 1963, ottenne il permesso ( molto raro in quei tempi) di partire per l’Africa come sacerdote Fidei Donum (diocesano). Accolto in Kenya dal vescovo di Meru, Mons. Lorenzo Bessone, fu inviato come collaboratore dei missionari della Consolata, nella parrocchia di Tigania.
Il 1963 fu per il Kenya l’anno della liberazione dal dominio coloniale inglese. Con il nuovo governo locale si aprirono anche nuove prospettive per la chiesa missionaria. Il distretto di Isiolo, fino allora chiuso ad ogni forma di presenza missionaria, fu aperto all’opera di evengelizzazione Nel 1964 il vescovo di Meru inviò nella zona il primo missionario nella persona di don Luigi Locati che divenne il fondatore della chiesa ed il pioniere di innumerevoli opere sociali a favore delle popolazioni nomadi di tutto il distretto che si estende tutt’oggi per 25.000 kmq, savana e deserto, verso la Somalia e l’Etiopia.
Il primo impegno di don Luigi fu un grande programma di formazione scolastica ( a quel tempo i giovani che frequentavano le due scuole primarie non superavano il 10% della popolazione di età scolare) convinto che l’educazione sarebbe stata per i giovani la strada all’evangelizzazione.
Il 15 dicembre 1995 fu eretto il Vicariato Apostolico di Isiolo e don Luigi Locati fu nominato da Papa Giovanni Paolo II primo vescovo e consacrato ad Isiolo il 4 febbraio 1996 da S.E.Card Josef Tomko e da S.E. Mons. Tarcisio Bertone, allora arcivescovo di Vercelli e attuale Cardinale di Genova.
Questa forte certezza lo spinse ad aprire nel distretto di Isiolo ben 15 asili, 19 scuole elementari e medie e 9 scuole superiori.
In pochi anni la diocesi passò da tre parrocchie a undici con undici sacerdoti diocesani, sei stranieri (dei quali 5 italiani), otto religiosi africani e con la presenza di sei comunità religiose femminili. (e tra queste le suore di Loreto di Vercelli).
Oltre al grande impegno pastorale di evangelizzazione ( la prima comunità cristiana di dodici fedeli che don Luigi incontrò al suo arrivo nel 1964 è cresciuta superando attualmente le 15.000 unità), mons. Locati si è prodigato per lo sviluppo sociale del distretto in svariati campi formando operatori in:
sanità e prevenzione – progetti idrici – sviluppo economico – giustizia e pace – agricoltura ecc.
Tutti i leader locali lo ricordano come uno strenuo sostenitore dell’incontro tra le varie religioni presenti nella sua diocesi con un rispetto ed una profonda ricerca sul ruolo della Religione Tradizionale Africana. Al suo funerale anche il Presidente della repubblica del Kenya sottolineò il grande impegno di Mons. Locati – che pagò con la vita – di creare unità e collaborazione tra le diverse etnie presenti nella zona, con una predilezione particolare per i più poveri e i più sfruttati.
Alle ore 19.30 del 14 luglio 2005, quattro colpi di fucile fermarono un cuore generoso che aveva sempre pulsato per amore della sua gente, ma non potranno mai fermare un cammino iniziato con grande fede, con l’unico scopo di vivere quello che è poi stato il suo motto vescovile: “Siate miei testimoni”.
Chissà quante volte don Luigi ha percorso quel breve tratto di strada, poche decine di metri, dal centro pastorale a casa sua, con nel cuore le più diverse emozioni e i più svariati pensieri che seguivano come una continua eruzione vulcanica, i suoi disparati progetti a favore della sua gente. Anche la sera del 14 luglio 2005 (pochi giorni prima del suo 77° compleanno) cammina nella stessa direzione reduce dalla cena condivisa con alcuni collaboratori e suore locali. Ma a casa sua non è mai arrivato. Appena varca il cancello del suo giardino è vittima di un agguato, vendetta di mafia diremmo con un termine tristemente e troppo spesso usato anche a casa nostra. Almeno quattro uomini sbucati dal buio colpiscono con una mazza l’uomo che si trova con don Luigi e lasciandolo a terra privo di sensi. Il vescovo subito consapevole di quanto sta succedendo – non era purtroppo la prima volta – tenta di fuggire tornando sui suoi passi ma è raggiunto da sei proiettili sparati alle spalle che lo colpiscono al collo, alla testa ed al braccio. Altri bossoli sono trovati per terra. I colpi d’arma da fuoco fanno scattare l’allarme. Il vescovo è in un bagno di sangue ma respira ancora. Caricato su un’automobile viene trasportato all’ospedale di Isiolo e la polizia mette anche a disposizione un elicottero per trasportarlo in un centro più attrezzato. Nel frattempo però mons. Locati spira.
A tutt’oggi sulle cause dell’agguato non ci sono ancora notizie ufficialmente certe. Di recente per dirimere alcune tensioni in una scuola, don Luigi era intervenuto bruscamente chiudendo la scuola e allontanando alcuni insegnanti responsabili dei disordini. Non accettava “ingerenze ” sia politiche sia amministrative da parte di boss locali per cui si era creato qualche attrito. Mons. Locati aveva infatti ricevuto minacce da qualcuno che voleva illecitamente approfittare della grande influenza che l’educazione ha sulla formazione dei giovani.
Sebbene appaia immaturo denunciare il movente del barbaro assassinio, si fa sempre più strada l’idea che dietro questa vicenda si celi la prepotenza di qualche signorotto locale. D’altronde la promozione umana a Isiolo e dintorni ha sempre rappresentato una parte integrante nell’apostolato del vescovo Locati innescando raffiche d’invidie e di gelosie. “Come dimenticare – scriveva padre Giulio Albanese – lo zelo di questo missionario “Fidei Donum” profuso incondizionatamente nei villaggi attorno a Isiolo laddove in capanne fatte di rovi, sterco e lamiera sopravvivono in condizioni penose donne, vecchi e bambini? Ed era proprio la popolazione infantile una delle sue grandi preoccupazioni incoraggiando le religiose locali a distribuire pastiglie e sciroppi per strapparli a morte sicura. Non vi è dubbio che il presule avesse maturato nei lunghi anni di missione la consapevolezza che la chiesa cattolica è chiamata ambiziosamente a realizzare nella fede un’unica famiglia composta di Meru, Turkana, Borana, Samburu, Somali e Kikuyu ed altre minoranze etniche provenienti da ogni dove. Ad Isiolo, dove la strada da Nairobi si biforca andando a Nord verso l’Etiopia e ad Est in direzione della Somalia, si incrociano interessi diversi, legati al commercio e a quant’altro, ma non necessariamente coincidenti con l’impegno del vescovo Locati nella lotta contro la povertà, suo autentico cavallo di battaglia. Quando in una intervista gli avevo chiesto se valesse davvero la pena spendere la vita in missione – continua padre Albanese – l’allora don Locati rispose senza mezzi termini che “non si pentiva affatto di aver respirato a pieni polmoni lo Spirito missionario del Vaticano II, uno Spirito che fa bene a tutte le Chiese, quelle che mandano e quelle che ricevono”.
Pochi mesi fa don Luigi scrivendo agli amici di Vercelli esprimeva la sua gioia “costatando le meraviglie del programma pastorale: evangelizzazione e promozione umana attraverso un solido apparato educativo. Proseguiva affermando che :”La nostra popolazione scolare e studentesca ha raggiunto quota 3000 e i risultati si prevedono ottimi a cominciare dalla scuola materna fino alle superiori e professionali. Poiché nelle nostre scuole vige il principio della tolleranza e della libertà religiosa, tutte le etnie sono accolte e tutte le religioni sono rispettate”. (Solo ad Isiolo sono presenti dodici tribù a volte molto diverse e in tensione tra di loro).
La maggior parte degli alunni delle nostre scuole è cattolica ma molti sono i musulmani, i protestanti o appartengono a religioni tradizionali africane.”
Questo era il suo tema di battaglia sul quale tornava molto spesso: portare il messaggio di Cristo a tutta la gente di Isiolo: questo messaggio è l’unica forza di aggregazione delle varie culture.

Così don Luigi scriveva presentando i grandi affreschi della cattedrale di Isiolo:
“Il ciclo dei dipinti è l’ultima tappa del progetto. A differenza di altre chiese che hanno vetri colorati alle finestre o immagini di santi alle pareti, ho voluto che la storia dell’Esodo – vicina simbolicamente alle tematiche e alla storia africana – fosse dipinta sulle pareti della navata centrale della chiesa e riproducesse volti e immagini del popolo ebraico, il popolo dell’Esodo. L’idea era ed è tuttora quella di portare alla nostra gente il messaggio dell’Esodo, dove Yahweh è il Dio liberatore, un Dio che si preoccupa del benessere della sua gente e questo Dio che ama il popolo ebraico è lo stesso Dio che si prende cura di noi oggi, liberandoci da tutte le situazioni disumanizzanti… Per molti cristiani il messaggio più profondo che apprendono e che lascia un segno nelle loro vite è che Yahweh è il Dio che ama il suo popolo e lo libera dall’oppressione. Sentono che Yahweh, il Dio dell’Esodo, è ancora e rimarrà il nostro Dio liberatore che avrà cura del suo popolo.
Qualcuno potrebbe obiettare e dire che a partire dai nostri giorni in tutta l’Africa si sta facendo uno sforzo per privilegiare la cultura locale (il cosiddetto processo di “inculturazione”), dunque i dipinti avrebbero dovuto rappresentare il popolo africano e non il bianco popolo ebraico! Potrebbe essere una giusta obiezione, ma la verità è che la storia dell’Esodo fa parte sì della vita e della storia del popolo ebraico, ma il messaggio di Yahweh, il Dio liberatore, non è rivolto solo a questo popolo, ma è un messaggio universale, valido sia per gli Ebrei che per gli Africani, senza discriminazioni di pelle! Inoltre il Vicariato di Isiolo è multietnico e comprende i borana, i turkana, i somali, i meru e i samburu! Quale tipo di rappresentazione pittorica, dunque, quale cultura privilegiare nella storia dell’Esodo senza escludere le altre? “Inculturazione” non significa rappresentare la storia dell’Esodo o la storia di Cristo con il colore nero, ma fare in modo che il messaggio di Yahweh metta radici nella vita della gente senza nulla togliere alle loro differenti culture.”

Don Luciano Pasteris, fidei donum di Vercelli che con don Locati collaborò per dieci anni ad Isiolo così lo ricorda:
“In tutti questi suoi programmi, don Luigi era un duro. Duro con se stesso e con tutti. Quante volte non si curava propriamente, quante volte trascurava medicine e danni della malaria… E quanti preti e suore hanno sofferto per le sue parole “dure”! Eppure siamo certi che non le abbia mai dette per ferire o far male. Piuttosto erano dure perché erano vere. Certo che a volte la durezza della verità che diceva ” nuda e cruda ” feriva e lasciava un segno profondo. Eppure è stata proprio la difesa della verità “a tutti i costi” che lo ha accompagnato fino alla fine.
Don Luigi era duro ma intelligente. Era capace di vedere avanti, di capire da che parte bisognava andare. Tra i primi aveva capito che se si vuol fare davvero del bene agli africani, c’era bisogno di sviluppo, ma non lo sviluppo solamente legato ai soldi o ai beni materiali dati senza distinzione a tutti. Don Luigi credeva che il vero sviluppo ed il miglioramento della vita degli africani poteva essere efficacemente raggiunto solo con una adeguata istruzione dei bambini, dei ragazzi, dei giovani africani. Aveva capito, prima di tanti altri, l’importanza delle scuole. Per questo in tutti i progetti della missione di Isiolo e poi di tutto il vicariato l’educazione ha avuto sempre la priorità assoluta.
Don Luigi era pronto. La sua risposta non si faceva attendere. Sapevi sempre come la pensava perché, a volte con durezza, a volte con astuzia, ti piazzava lì due frasi che ti lasciavano senza parole. Difficilmente le parole di don Luigi erano leggere.
Se c’era urgenza, don Luigi arrivava prima. Forse anche questo tante volte è stato di ostacolo più che di aiuto. Don Luigi capiva da che parte andavano le cose e non aspettava che anche gli altri lo capissero ed il più delle volte non spiegava: lui era pronto…ed andava. E gli altri? Il più delle volte restavano indietro.
Don Luigi non aveva esitazioni: era pronto.
Don Luigi era Prete. Con cura ha sempre fatto il catechismo alla gente, anzi, anche da vescovo voleva farlo lui alle persone anziane. Preparava l’omelia, confessava e amministrava i sacramenti. Quando andava nei villaggi a celebrare l’Eucaristia, mezz’ora prima la riservava per mettersi a disposizione di chi voleva confessarsi. Alla sera, prima di andare a dormire ci invitava tutti a recitare insieme la compieta. Ed era lui ogni volta a concludere la giornata dicendo :” Nos cum prole pia, benedicat Virgo Maria”.

Alla notizia della morte di don Luigi, Mons. Enrico Masseroni, arcivescovo di Vercelli, così scriveva:
“Così cade un pioniere sulle frontiere dei poveri: un amico, un vescovo, un confratello. Nel modo meno prevedibile, purtroppo : perché mons. Locati aveva ormai compiuto il suo mandato di Amministratore Apostolico del Vicariato di Isiolo; stava recitando il suo “nunc dimittis” e si accingeva a servire ancora la sua gente in terra di missione come semplice operaio del vangelo, là dove aveva giocato tutta la partita della sua vita di missionario della prima ora. La morte violenta non si è arrestata davanti al suo sguardo di forte operatore di pace; lo ha crudelmente messo a tacere. E così il demone della violenza è entrato improvvisamente anche nella nostra storia. Anche noi, terra di Eusebio, siamo bagnati dal sangue dei nostri martiri; perché questa è forse la parola più cruda, ma più vera; perché sulle frontiere degli ultimi l’ipotesi di una vita immolata fino al sangue non è astratta, non è la retorica di una avventura di chi salpa per altri lidi, ma è rischio quotidiano, messo nel conto di una vita progettata sin dall’alba a fondo perduto, per il Regno. E allora la morte del carissimo don Luigi sulla strada delle sua Isiolo non ci sorprende: fa parte di quella parabola del ” pastore buono ” che non solo conosce il suo gregge, non solo cerca le pecore lontane dall’ovile, ma “offre la vita” per esse (Gv 10). Perché nessun discepolo è diverso dal suo maestro”.

Così vogliamo ricordare don Luigi: duro, intelligente e capace di vedere avanti, pronto e forse fin troppo, un prete fino in fondo che ha dedicato all’Africa ed alla sua gente la propria vita, fino alla fine.

don Franco Givone

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In morte di un vescovo

Il 14 luglio è stato ucciso in Kenya monsignor Luigi Locati, vicario apostolico di Isiolo.

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In memoria di Felice Bagnati

Felice Bagnati in una foto dei suoi fecondi anni africani

Abbiamo chiesto agli amici che hanno conosciuto di persona Felice Bagnati di scrivere per il nostro sito un ricordo su di lui e da qui rinnoviamo l’invito a quanti volessero ricordarlo con scritti o altro materiale di mettersi in contatto con noi.
Ringraziamo la sig.ra Nucci Bedale Sarasso per averci mandato il primo contributo su Felice che qui di seguito pubblichiamo.

Ricordo d’Africa

Due volte, durante la mia ormai lunga vita, fui ad Isiolo, in Africa. La prima volta in gioventù, la seconda in età matura.
E stranamente l’Africa ha segnato le svolte significative della mia esistenza. Forse per questo il ricordo degli accadimenti di quei giorni sono radicati nella mia memoria.
La prima volta fu il momento più felice. Era la mia prima vacanza all’estero e fu la vacanza perfetta.
Conobbi persone indimenticabili: suor Stella, la superiore delle suore di San Eusebio, che con la sua auto ci conduceva in giro e con la quale vedemmo i leoni a caccia e l’elefante solitario abbandonato dal branco.
Feci amicizie laggiù che continuano ancora oggi forse perché il vivere in modo così primitivo e precario stimola nell’essere umano il sentimento della solidarietà.
La seconda volta fu il momento più buio e disperato. Ero tornata a caccia di ricordi, con il cuore straziato dalla disperazione per la prematura scomparsa di mio marito.
E anche allora conobbi laggiù persone indimenticabili: il Felice Prandi e il Felice Bagnati. Il primo lavoratore infaticabile possedeva un’arguzia naturale che teneva allegro l’intero gruppo, il secondo, anche lui lavoratore infaticabile conduceva per mano l’intera missione.
Di quest’ultimo ricordo la presenza.
Stupiva come potesse essere dappertutto, porre rimedio ad ogni cosa. Spesso lo si sentiva chiamare a gran voce da don Locati perché accorresse dove c’era un guasto o qualche cosa non funzionava. Intelligente e colto s’intendeva di tutto, di elettricità, di meccanica, di falegnameria.
Uomo schivo e timido parlava poco ma sorrideva spesso. Rammento il suo saluto mattutino accompagnato sempre da un largo sorriso. Rammento la sua tenerezza nel cercare di consolare la mia profonda tristezza, la sua comprensione, la gioia con cui mi annunciava le escursioni della domenica perché sapeva di portarmi gioia
Rammento l’attenzione con cui cercava di prevenire e soddisfare i miei desideri. Ma soprattutto la sua compassione.
Uomo intelligente e sensibile era l’anima stessa della missione ed era veramente indispensabile al suo funzionamento. Rammento quando per ore studiava con don Luigi i disegni dei lavori da fare: qui apportando modifiche, là suggerendo alternative. Sempre ascoltato dal capo in testa che pareva incapace di ogni cosa senza il suo aiuto.
Nessuno di loro è ancora vivo, ma sono certa che tra le costruzioni della missione, lungo i suoi viali e i suoi sentieri aleggia il loro spirito perché molto l’hanno amata e molto le hanno donato.
Questo è il ricordo che porto nel cuore di Felice Bagnati ed insieme al ricordo la mia gratitudine.

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